lunedì 1 ottobre 2012

Parole informatiche: libreria

Per uno strano caso (o forse non esistono le coincidenze?), ho pubblicato i primi due post di questa minimale rubrica informatico-terminologica rispettivamente nei primi giorni dei mesi di agosto e settembre. Ho pensato allora che certe cose prendono spontaneamente il loro giusto ritmo, e sarebbe stato bene non infrangere questa regolarità: ecco quindi la terza puntata inaugurare il nascente mese di ottobre.
La parola informatica del mese è "libreria".
Ho sempre amato i libri, e di conseguenza anche i due luoghi principi abitati dai libri: le biblioteche e le librerie. So bene la differenza tra questi due luoghi, ma, avendo addirittura sposato una bibliotecaria, so altrettanto bene che molte persone non hanno ben presente questa differenza.
E questo fatto è vero al punto tale che quando qualche informatico decise di tradurre in italiano il termine tecnico library, che indica un insieme di risorse non volatili (ad esempio codice, subroutines, classi, dati di configurazione, documentazione, ecc.) che possono essere utilizzate da un programma informatico, invece di tradurlo correttamente come biblioteca, lo tradussero, tratti in inganno dall'assonanza di parole, come libreria.
E' curioso notare come nella stragrande maggioranza delle altre lingue la traduzione sia stata fatta correttamente: gli informatici spagnoli parlano di biblioteca, quelli francesi di bibliothèque logicielle, quelli tedeschi di Programmbibliothek, e così via.
Scarsa propensione degli informatici italiani per le lingue e per le traduzioni? Forse.
Resta il fatto che sarebbe stato bello, per noi informatici, avere a che fare con delle "biblioteche" anche nel nostro lavoro. D'altra parte non è un caso che questi insiemi di risorse siano stati chiamati libraries e non bookstores: la loro utilità risiede nel fatto che essi forniscono una collezione di funzioni o strutture dati di uso comune, evitando allo sviluppatore l'ingrato compito di riscrivere ogni volta da zero le stesse procedure.
Un po' come le biblioteche di libri, che forniscono un servizio pubblico mettendo a disposizione di tutti gli stessi volumi, che quindi vengono di volta in volta utilizzati da diverse persone.

4 commenti:

  1. Io ho cominciato a lavorare alla fine degli anni '70. La prassi era di italianizzare il termine inglese: non solo librerie ma anche sortare, plottare, spullare. La prima volta che ho sentito "giostra" non ho "realizzato" che era il carousel. Per i giovani il portapenne del plotter. E sì i francesi erano davvero incomprensibili, usavano certi termini...

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  2. Sulla italianizzazione dei termini informatici ci sono decinaia :-) di aneddoti, ma anche sul fraintendimento di quei termini, in generale. All'inizio degli anni 80 quando mia moglie ando' a lavorare nel CED di una grande assicurazione, mi cito' il fatto che i colleghi parlavano di una funzione che si chiamava "substrato" (dal nome inglese "substrate"). In questo caso il salto mortale era doppio: la funzione era la "substring", che era abbreviata in "substr", di qui la necessita' prima di inferire di quale parola inglese fosse l'abbreviazione, e poi di italianizzare il tutto. Con un risultato, in questo caso, catastrifoco :-)
    FG

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  3. Se ricordo bene una cosa analoga è avvenuta per "port": tradotto in spagnolo giustamente con puerto e in italiano con "porta".

    Saluti

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  4. In mezzo a tante orribili "traduzioni", forse questa non lo è poi così tanto: anche se in una library non si vendono libri, è anche vero che quando ho bisogno di un libro lo vado a cercare nella "libreria" nel mio studio.

    Volendo anche port -> porta mi piace di piû: un "porto" rappresenta un posto dove arrivano tutti, mentre la "porta" la apro, la chiudo, ci passano solo quelli la scelgono proprio.

    Vogliamo mettere directory -> cartella ?

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